Riflessione sul Giovedì Santo

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa bella riflessione sul giovedì Santo di Gian Michele Mostradini, nostro iscritto e RSU.

Giovedì Santo, l’anticipo del Sacro Triduo pasquale.

In una prospettiva di consapevole dolore, aperta alla certezza della Resurrezione e comunque in un apparente silenzio divino, come oggi, a Gesusalemme nasce l’Eucarestia. 

Questa parola – tanto usata e poco conosciuta- nasce dal greco εὐχαριστέω, ringraziare, rendere grazie. 

Gesù quella sera, tra i cibi della tavola imbandita secondo la tradizione ebraica per Pesach (la Pasqua, che significa “passaggio”), scelse il pane e il vino non per una semplice rappresentazione, un freddo e ciclico ricordo. 

Lo fa consapevolmente per creare memoriale, che nella dimensione cristiana niente ha a che fare con una semplice “raccolta di memorie, di ricordi, di commemorazioni”, ma è ri-attualizzazione profonda di un gesto salvifico, di “quel gesto” che salva e che è efficace. 

L’atto di spezzare il pane e di versare il vino, precedentemente costituiti dalla frantumazione e dall’unione dei chicchi di grano e degli acini d’uva, indica una via, scelta prima di tutto da Cristo per pagare anticipatamente un prezzo: spezzarsi, versarsi per-donarsi senza parzialità.

Stamani molto presto ho messo le mani nella mia libreria e sono andato in cerca di un vecchio volume di studio, a colpo sicuro. Ho cercato due passaggi chiari ed “eleganti” del complesso Vangelo di Giovanni (6,53 e 6,56-57). Il primo dice:

Gesù disse: In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.

Esprime un legale personale, non massivo, con Cristo. Non ci si può cibare “per delega” di questo corpo e sangue o assistere al suo spezzamento/versamento senza partecipare. 

Non sarebbe fonte di vita.

Il secondo è “eucaristicamente” ancora più chiaro:

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.

Subito mi sono tornate alla mente due cose fondamentali e mi è preso un brivido di freddo per averle archiviate troppo velocemente. 

Prima di tutto il testo greco di questa seconda frase è ancora più tagliente, preciso di quello della prima. Recita così: ὁ τρώγων μου … καὶ πίνων μου, cioè o trògon mu … kài pìnon mu; tradotto in Italiano: il “mangiante” di me … e “bevente” di me; un’associazione univoca, per niente equivoca, un aggancio alla Vita di Cristo (non alla sua rappresentazione commemorativa) prima di tutto del singolo, per divenire successivamente “comunione” con gli altri. 

L’altro aspetto, di carattere generale, inalienabile, è che tutti e quattro i Vangeli nascono DOPO l’evento pasquale di Gesù, dopo la Passione, la morte, la Resurrezione e su questo “nocciolo” (kerigma) fondano TUTTO. Anche il testo di Giovanni che ho rammentato si fonda su questo, ogni singola parola sia dei sinottici (Matteo, Marco e Luca) che di Giovanni rimanda allo scatenante, sconvolgente evento pasquale.

Tale carattere di “aggancio” forte alla Vita concreta di Cristo nel mangiare/bere carne e sangue, non ha scadenza, come non scade e non viene meno l’Opera di Dio nel tempo, generato da Lui stesso.

Quindi mangiare l’Eucarestia così come qualsiasi altro cibo sarebbe infantile, forse inconsapevole, freddamente ciclico, ancor prima che sconveniente. 

Mangiare l’Eucarestia significa farsi prendere ai fianchi per innalzarsi al di sopra dell’orizzonte piatto, lanciandosi in una prospettiva diversa, sempre ancorata alla Parola che traccia la strada. 

Impone un certo “rientrare in se stessi”, intimamente, in una solenne solitudine, dove l’incontro è col Maestro e con il Logos attraverso cui “tutto è stato creato”. 

E’ quindi qualcosa da preparare, come ogni appuntamento a cui teniamo e per il quale imbandiamo una ricca tavola, riservando il meglio all’ospite, tra cui la verità delle nostre anime, della mente, del corpo stesso.

Oggi non potremo andare in chiesa per spezzare e versare; questa volta siamo chiamati a trasformare le nostre case in santuari, per celebrare il desiderio di tornare quanto prima a questa mensa, nella consapevolezza di essere invitati alla Divina Unione con Gesù.

Gian Michele Mostardini

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