STEREOTIPO E PREGIUDIZIO: Il bravo giardiniere ama molto le sue rose

Riflessione quasi postuma, di Catia Fagioli

Forse per un innato sentimento di giustizia, o forse per voler offrire un umile tributo postumo alle innocenti ed indifese vittime dell’Olocausto, ho deciso di fare una sosta e di riflettere sulla natura e l’origine del male. Sostare e riflettere costa molto e probabilmente è poco attuale, in una società che vuol solo correre o scappare. Ma quando mi soffermo ad osservare le dinamiche dell’odio che la nostra contemporaneità ci presenta, girando indietro di qualche pagina il libro della nostra storia, mi chiedo in silenzio i motivi per i quali la politica nazista del pregiudizio ebbe così tanto successo da incidere in maniera significativa sul comportamento della popolazione europea per un periodo storico non insignificante.

E ciò al punto da riuscire ad utilizzare il pregiudizio a fini politici. Quando parlo di pregiudizio, non posso fare a meno di riferirmi al concetto che ad esso è immediatamente collegato: quello di stereotipo, ove questo possa essere definito come una indebita attribuzione di specifiche ed irreali caratteristiche ad un preciso gruppo sociale, per cui, nella mentalità comune si sviluppano e si veicolano idee, appunto comuni, secondo le quali ” gli italiani sono così…, le donne sono così…, quelli con i capelli rossi sono così…, i neri sono così…, gli ebrei sono così…”. Lo stereotipo, in buona sostanza, è una falsa attribuzione di caratteristiche che diviene luogo comune per indicare e racchiudere un gruppo sociale con caratteristiche simili. Il passaggio successivo è poi la valutazione delle false caratteristiche che viene abbinata allo stereotipo, cioè l’attribuzione di valore ad un modello stereotipico. Questo è il pregiudizio.

Esso, più in generale, può essere una reazione negativa di fronte ad una situazione di diversità quando essa produca disagio. Ove si manifesti forte la difficoltà di capire il diverso, si può arrivare a costruire consenso sulla percezione della distanza culturale, linguistica, sociale, giungendo a fare un uso politico della diversità e del pregiudizio che affonda la sua radicazione nel luogo comune e nell’ignoranza. Fare, ancora oggi, un uso politico dei pregiudizi significa utilizzare la possibilità di incanalare stereotipi di pregiudizi nei confronti di gruppi indicati come responsabili di negatività. Questo esercizio di potere diviene una egemonia nella quale un gruppo, mediante l’irradiazione di certi comportamenti sociali, esercita un controllo egemonico, repressivo, coercitivo. L’utilizzo di stereotipi e pregiudizi permette a gruppi di potere di indirizzare le responsabilità delle frustrazioni verso o contro gruppi ben precisi. Il problema di sempre è la velocità con cui stereotipi e pregiudizi diventino così forti e si diffondano tanto velocemente. Ciò è forse dovuto al fatto che essi danno l’impressione che un gruppo sia superiore ad un altro, nel senso che lo stereotipo fa sentire l’altro fuori dallo zingaro, fuori dal nero, fuori dal barbaro, fuori dell’ebreo, fuori dal clandestino, fuori dalla negativa diversità. Si creano allora gruppi superiori e gruppi inferiori, nei quali lo stereotipo genera un rassicurante senso di coesione: i veri italiani, i veri tedeschi, i veri ariani e il resto dell’umanità, non più degna, perché diversa, perché imperfetta, difettata, da scartare. Il mondo può legittimamente essere diviso fra buoni e cattivi, fra i sì e i no. Diviene allora importante, vitale, coesivo, estirpare le erbacce per far bello il nostro giardino. Questo il compito del bravo giardiniere, ed ognuno che appartenga al mondo dei sì può essere il miglior giardiniere, che ben sa quali siano le erbacce da estirpare. Mi chiedo, alla luce del passato e con uno sguardo sul presente, se oggi siamo veramente fuori da questa impostazione sociale e politica che si riferisce alla seconda guerra mondiale, o se invece la nostra società così insicura, così fragile di fronte alla lettura delle diversità, non sia ancora in grado di partorire mostri.

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